
Alla corte di Regina Solitudine
di Andrea Chidichimo
C’è differenza tra l’isolamento e il senso di alienazione, tra lo stare soli e il sentirsi soli? L’elogio alla compagnia interiore è un cambio di prospettiva cui l’autore ci invita, per vivere la nostra intimità e libertà al di là del senso comune, superando la paura di entrare in relazione con se stessi.
In questo articolo vorremmo cercare di compiere insieme a voi che leggete, un procedimento che possiamo definire di “anamorfismo interno”, ovvero un cambio di prospettiva preciso che ci toglie da un punto di vista dove le immagini sono distorte, e ci mette in un luogo percettivo in cui possiamo osservare la realtà in modo più chiaro e realistico. Proveremo a compiere questo procedimento interiore rispetto al tema della solitudine. Opereremo insieme una serie di passaggi per trasformare il nostro sentirci soli, e tutta una serie di emozioni negative che ne conseguono, nella possibilità di scoprire la bellezza dello stare da soli, ovvero in contatto con noi stessi, davanti al nostro vuoto, alla nostra unicità. Dedichiamo questo articolo a tutte le persone che si sentono sole e speriamo che questo testo possa davvero fornire gli strumenti necessari per cambiare prospettiva e avere uno sguardo nuovo su di noi e sulla vita.
Possiamo ora, pertanto, cominciare il nostro elogio della solitudine. Innanzitutto cominciamo col dire che la solitudine dell’iniziato non è intesa come assenza di relazioni o come vuoto di relazioni, ma come il tempo in cui è possibile entrare in contatto, e pertanto in relazione, con se stessi.
La stanza interiore
Come possiamo creare una stanza interiore in cui poterci separare dal resto, per provare a entrare in contatto con noi stessi? Beninteso che stiamo parlando di creare una stanza dove poterci incontrare con il nostro intimo, cosa che non significa isolamento da sé o dal mondo.
La natura della vita in questo pianeta ci porta costantemente alla separazione. Ci separiamo dal grembo materno e dai nostri genitori; ci separiamo, alle volte, dopo una relazione durata molti anni e su cui abbiamo investito tutto; ci separiamo psicologicamente dalle persone che non hanno i nostri stessi valori; ci separiamo dai nostri cari quando terminano la loro esistenza. Ogni volta che avviene una separazione in qualche modo si entra in contatto con se stessi, con il vuoto che rimane dopo.
Creare la nostra stanza interna significa entrare in una separazione volontaria dove non occorre fare nulla, se non mettersi seduti per il tempo che vogliamo dedicare a noi stessi, chiudere gli occhi e, senza sforzo, semplicemente stare in un ascolto attento e profondo. La stanza che dobbiamo preparare è un luogo interiore, dove possiamo incontrarci e per fare questo abbiamo bisogno di stare da soli per rafforzarci dentro. Ora, ogni volta che entriamo nella nostra stanza per stare da soli con noi stessi, dobbiamo imparare a vivere questa separazione dall’esterno senza frustrazione e senza ansia, perché immancabilmente ogni volta che noi entriamo nel silenzio del nostro vuoto, emerge anche quell’emozione con cui abbiamo vissuto tutte le separazioni della nostra vita. Possiamo quasi definire questo processo come un processo artistico o alchemico, se vi piace di più questa parola: l’alchimia della solitudine, l’arte della separazione. Stare con noi stessi è un processo alchemico che nutre il contatto con la nostra anima che si scopre al cospetto di se stessa e davanti all’infinito. Dedicarci questo tempo significa avere la possibilità di maturare, di crescere interiormente, per compiere la nostra missione, quella appunto di diventare noi stessi realmente.
Se vogliamo migliorare la relazione con gli altri e con la vita tutta per come si presenta, dobbiamo anche saper stare da soli con noi stessi e cominciare un vero e proprio allenamento dedicato alla nostra crescita.
Ma come facciamo a superare le paure, le ansie e le frustrazioni che emergono e potere cambiare la prospettiva del nostro sguardo?
Sempre di meno l’uomo di oggi riesce a creare questo processo: la nostra vita è sempre più piena di impegni, tante ore a lavoro, poi gli incontri con gli amici, il telefono perennemente in mano per rimanere sempre connessi, insomma continuamente pieni di cose da fare. Ciascuno di noi può in questo momento sentire quanto alle volte rischia di essere “piena” la nostra esistenza e quanto sia difficile riuscire a fermarsi. Tanto che, appena riusciamo a staccare la spina, grazie a una vacanza, non riusciamo nemmeno a rilassarci, e spesso le tensioni aumentano invece di sciogliersi.
Eppure, se l’iniziato non riesce a regalarsi questo momento di solitudine e di contatto con se stesso egli smette di crescere. Questo spiega il motivo per cui ci capita di osservare in noi stessi o nell’altro, anche se adulti, atteggiamenti immaturi e infantili rispetto alla gestione dei problemi o delle relazioni. Affrontiamo le difficoltà con il pesante fardello delle nostre ferite interne, tendenzialmente scissi dalla nostra anima luminosa: smarriti continuiamo a perderci, anziché fermarci, acceleriamo la corsa.
Quando siamo soli, invece, si dipana davanti a noi la possibilità di crescere e di coltivare il nostro giardino interiore che porta al compimento. Quando ci diamo questa possibilità, entriamo in contatto con le domande che abbiamo dentro e che sorgono dal profondo: chi sta vivendo la mia vita al posto mio? A quali illusioni sto dando tutta la mia energia vitale? Cosa mi è caro davvero? A cosa sto dedicando il mio tempo?
Nella nostra solitudine possiamo prenderci cura della nostra anima, perché sempre essa torna a noi quando stiamo nella nostra stanza interiore, fermi, immobili, in ascolto, senza sforzo. In questo spazio possiamo entrare in risonanza con noi stessi e mettere pace nel nostro cuore, in modo tale da poter co-vibrare col mondo esterno con una ricchezza e serenità crescenti, con una gioiosa regalità… Una volta superata la terribile paura della nostra unicità e dell’immenso vuoto che si presenta davanti alla nostra coscienza, questo può accadere davvero.
In questo spazio di solitudine possiamo imparare e crescere, conoscere le Leggi dell’Universo e fare della vita e dell’esistenza intera i nostri più grandi alleati: altrimenti gli ostacoli, le sventure, le cadute dolorose rischiano, man mano, di risultarci insopportabili. L’unica soluzione pare davvero essere quella di cominciare a crescere attraverso lo straordinario contatto con noi stessi nella stanza della nostra solitudine.
Un’altra regola molto importante che possiamo imparare coltivando la nostra solitudine è la resa: quando qualcosa accade nella nostra vita che interrompe il nostro percorso (una malattia, la fine di una relazione, la perdita del lavoro, ecc.), osserviamo in noi una serie di reazioni che oscillano dal dolore alla rabbia, dalla tristezza alla depressione. Spesso, quando capitano questi drammi, ci opponiamo alla vita ma, se ci alleiamo con questa tragedia e la accogliamo attraverso la maturità e la calma che man mano riusciamo a maturare nella nostra stanza interiore, scopriamo che è pronto per noi un nuovo dono. Quanto è difficile lasciarsi andare? Quanto è difficile smettere di puntare i piedi? Quanto è difficile staccarsi dal dolore, perché le cose sono andate in modo diverso rispetto alle nostre aspettative? Perché è così difficile? Come possiamo comprendere che il corso degli eventi va accolto come una benedizione ricolma di promesse? La vita non è mai il riflesso narcisistico dei nostri sogni...
Continua a leggere tutti i nostri articoli abbonandoti gratuitamente alla Rivista:
Lasciate i vostri commenti