
Coronavirus, solo un nemico?
di Claudia Finetti
Il Covid-19 ha una caratteristica rara negli eventi che riguardano gli esseri umani, è davvero globale. Contagia ricchi e poveri, non fa distinzioni di pelle, né di zone geografiche. Fermati gli uomini, il nostro pianeta respira, i mari respirano, piante e animali respirano. Ci sono solo due eventi che somigliano a questa globalità, la nascita e la morte, due lame in una sola spada.
Nel momento in cui scrivo questo articolo, siamo ancora nel pieno dei nostri ritiri casalinghi, dello smart-working e della solitudine, le limitazioni di legge sono state prorogate al 3 maggio. E non so, quando leggerete queste righe, se ancora saremo in “quarantena”, o se avremo ripreso, lentamente e forse a fatica, le nostre vite, quelle “di sempre”.
I nostri cuori sono uniti alla sofferenza di chi ha perso una persona cara, o alla preoccupazione di chi vede crollare un sostentamento economico indispensabile per la sua vita. Gli aspetti peggiori di questa lunga esperienza sono dolorosamente davanti a noi, e si mostrano in esclusiva.
Ma, come sempre, non esiste nulla che, in sé, rappresenti totalmente il bene oppure il male.
In questo articolo vorrei provare a far luce sui germi degli aspetti positivi che possono prodursi in noi, in questo periodo unico nella nostra vita. Se nel frattempo avremo ripreso le nostre vite, come sempre, forse quest’esperienza non ha prodotto cambiamenti. È un bene o un male?
Nella tradizione di Quarta Via si parla di “shock”, di sveglie, che l’uomo dovrebbe apprendere a darsi nell’arco della giornata per risvegliarsi dal sonno della coscienza, per potersi osservare, per chiedersi: sto andando verso me stesso? Cosa mi spinge veramente, perché lo faccio?
Leggo questo accadimento del Covid-19 come una grande, planetaria sveglia che risuona nelle orecchie dell’umanità. Uno STOP imperioso e potente che rompe ogni resistenza dei nostri attaccamenti, delle nostre identificazioni, delle nostre abitudini e illusioni. Ci costringe a mollare la presa sul denaro, sulla carriera, sulla quotidianità frenetica, sul pedale dell’acceleratore: improvvisamente, non abbiamo più fretta. Ieri un’amica mi ha detto: «Sono tre giorni che non mi guardo allo specchio, incredibile!”. Lo specchio… come ci vedono gli altri? Quanto fatichiamo, quanto ci snaturiamo, a beneficio del gigantesco specchio rappresentato dagli sguardi degli altri?
Il virus costringe a sentire che la competizione è un non senso, e che però, se non si compete, sorge un senso di vuoto e inutilità. Interessante… Lo STOP ci obbliga a sfrondare bisogni falsi – e anche costosi -, per metterci di fronte alle nostre vere e più umane necessità.
Questo nemico invisibile ci costringe a non dare più niente per scontato, ci priva di tutto e allora, dal nulla, iniziano a emergere, per prime, le cose davvero importanti. «Potrò procurarmi il cibo?». E allora che facciamo? Corriamo a fare accumulo al supermercato, così poi «non sarò fra quelli che non trovano più niente». Bello… Ma anche, come starà mia madre? E la mia amica di Milano? È una vita che non la sento… Poi, col passare dei giorni, il silenzio si fa strada. E questo vuoto che sento dentro? Come riempirlo? Il parrucchiere è chiuso, i negozi sono chiusi, però… posso comprare on-line! E se poi nei prossimi mesi i soldi non bastassero? Eccomi ancora qui, di fronte alla solitudine. Che ci faccio con lei? Che ci faccio con queste emozioni che non ho mai sentito prima, o che, se lo ho sentite, erano una decima parte di ciò che sento adesso? Sento salire l’ansia, l’attrito, la tristezza, la rabbia: «Governo ladro!». Ora non me la posso prendere col vicino di casa, con la mia amica, con il collega. Su chi posso proiettarle queste angosciose emozioni, ora che sono da sola? L’unica cosa che mi rimane è guardarmi allo specchio, nel profondo degli occhi (specchio dell’anima). Alt, forse finalmente ci siamo. Devo occuparmi di me stessa. Non della tinta ai capelli, degli abiti, della linea, dell’avvocato o del manager che sono, ma della vera me stessa. E chi sono io? Bella domanda. È una delle domande di fronte alle quali ci pone impietosamente questo virus. L’isolamento ti toglie il ruolo nel lavoro, la giacca e la cravatta, ti toglie la seduzione o il ruolo di nonna – perché i tuoi nipoti per mesi non li potrai vedere -, e forse ti accorgi anche che non sei così indispensabile. Forse ora che sei a casa tutto il giorno, non ti piace più nemmeno tuo marito… Orrore! Evviva, però ci sono le serie tv e i social network! Peccato… questi il virus non ce li ha tolti, e allora, per qualcuno, sono diventati il catalizzatore per continuare a non occuparsi di se stesso. Oppure, visto che ho perso il controllo della mia vita, cerco di averlo almeno sulle notizie, e non mi perdo nulla: statistiche, interviste, telegiornali, per ore e ore al giorno. E tutto mi entra dentro, perché scopro di non avere filtri, di non sapermi proteggere. E la minaccia della morte? Sì, forse è ora che mi ricordi che c’è anche una parte trascendente in me, e che affondi le mie radici in essa, che mi ricordi di Dio e che provi a sentire che la sua infinitezza è anche la mia. Dove sono io? Forse sono morta con tutte quelle cose che il virus non mi permette più di essere o di fare. Perché ho costruito la mia identità su di esse.
Ebbene sì, la cosa buona di questo virus è che dovrebbe costringere a interiorizzarsi. Qualcuno potrebbe obiettare: «E l’equilibrio fra interno ed esterno?». Certo, il problema è che stiamo 90% all’esterno, di solito. Quando avrò imparato a occuparmi davvero della mia interiorità, della mia fragilità emotiva, delle mie paure, delle mie ansie sempre inascoltate, forse riuscirò a occuparmi dell’esterno in modo più sano. Senza colpevolizzare, senza proiettare sull’altro le mie ombre, senza sentirmi carnefice né cadere in un delirio di persecuzione.
Il virus costringe anche i Governi del mondo a non dare più alcune cose per scontate. Nella nostra Costituzione, come ci ha ricordato il premier Giuseppe Conte, il valore più importante, al di sopra di tutto, è la salute dei cittadini (oggi estesa alla salute emotiva, che spesso si riflette sul corpo, ma qui ci sono ancora grandi passi da fare). Però, se guardiamo agli ultimi vent’anni, progressivamente e inesorabilmente, sono state sottratte ingenti risorse economiche proprio agli ospedali pubblici e al personale sanitario, tanto, “stiamo bene”. STOP. Sicuri?
E cosa dire dell’altro pilastro di una società che miri all’equilibrio e alla pace? L’educazione. «Intendi quella dove impari un sacco di cose che cambiano in continuazione, che quando le studi si può dire che siano già obsolete, come i confini degli stati europei nel ‘700?». No, intendo dire quella su un aspetto di noi che è rimasto sempre uguale nel corso dei millenni: le nostre emozioni. Intendo parlare di un’educazione all’interiorità. Di un insegnamento trasmesso con passione perché nasce dal cuore di un individuo e vibra nel cuore di un altro. Parlo di insegnare ai bambini a costruire un “io sono”, anziché un “io faccio” o un “io ho”. Di aiutarli all’ascolto delle proprie emozioni, tutte legittime, a comprendere le proprie reazioni, a sviluppare empatia verso se stessi e, di conseguenza, sensibilità verso gli altri. La cura dell’equilibrio psicologico e del benessere emozionale dei cittadini dovrebbe apparire, anche ai più ciechi materialisti, come il cardine per lo sviluppo di una società sana, capace di affrontare gli effetti di un coronavirus senza cadere in depressione, morire di solitudine, sentire la disperazione, scatenare ansia o attacchi di panico. Una buona relazione con se stessi non evita il disagio per quanto accade, ma permette di non perdere l’equilibrio mentale, e poter continuare a sentirsi, oltre che preoccupati, anche sereni.
Ecco, finora ho lasciato a ruota libera il mio emisfero sinistro. Però, la notte scorsa, prima di scrivere questo articolo, mi sono addormentata pensando a quali contenuti toccare… cosa posso dire di questo Covid-19? Mi sveglio la mattina con un’immagine: il sole sorge all’orizzonte e subito si biforca diventando come la lingua di un serpente. Due soli: uno sale verso destra, l’altro verso sinistra. Cosa significa? Decido di accendere una candela ed entrare in uno stato meditativo.
Mi appaiono una serie di coppie: un unicorno bianco esce galoppando dal mare e si dirige verso la mia sinistra, mentre un cavallo nero compie lo stesso percorso verso destra; una rosa bianca e una nera; un serpente mi mostra la sua lingua biforcuta; di fronte al sole, uno stormo di uccelli bianchi e uno di uccelli neri volano in direzioni opposte. Ok, gli opposti, ma come penetrare il senso di quanto mi appare? Di fronte a questa domanda, il simbolo che ho costruito nella mente all’inizio della meditazione, mi chiede di entrare in me… Sento arrivare delle parole, afferro rapida il quaderno che tengo accanto al comodino, e inizio a scrivere, mentre la voce mi parla…
Continua a leggere tutti i nostri articoli abbonandoti gratuitamente alla Rivista:
Lasciate i vostri commenti