Guerra di genere

Ha senso la guerra di genere?

di Paola Grasso

La lotta fra le diversità non ha risparmiato nei millenni anche quella fra il genere maschile e quello femminile. Portando alla luce una sessualità fisica, è come se mandassimo in ombra i princìpi del genere opposto. Poter svelare pian piano le nostre parti inconsce ed integrarle, ci conduce a non averne più tanta paura.

La violenza contro la donna è argomento quasi inflazionato di questi tempi. Sui giornali e sul web leggiamo continuamente le cronache di episodi di femminicidio e di svariate forme di violenza contro la donna in quanto donna, episodi che paiono soltanto l’apice di un fenomeno molto più ampio, identificabile probabilmente con il tessuto stesso del nostro sistema culturale. Ci sono tantissimi casi in cui la violenza non arriva alle sue estreme conseguenze, e quindi sulle pagine dei giornali, ma possiamo immaginare quante volte venga sfiorata, quanti abusi psicologici e quante costrizioni mentali e fisiche le donne sopportino senza che tutto questo emerga. Le nostre società, specialmente alcune, sembrano produrre incessantemente multiformi manifestazioni di violenza, una delle quali oggi viene definita “violenza di genere”, perché esercitata a partire dalla differenza sessuale. È possibile vedere la violenza contro la donna e quella contro le persone con un orientamento non eterosessuale in senso ortodosso come aspetti diversi di un unico fenomeno, che si produce a partire dal concetto di superiorità/inferiorità legato al genere. Esiste in una parte della psiche collettiva, specialmente nei paesi a struttura patriarcale, una gerarchia, al vertice della quale si pone il maschio eterosessuale; possiamo quindi ipotizzare che il generarsi della violenza come sintomo di una relazione basata sul potere sia una diretta conseguenza di questa struttura mentale. Se c’è un alto e un basso, c’è un migliore e un peggiore, e c’è un ordine che stabilisce chi ha più diritto di fare e pensare. La cultura da cui proveniamo (sicuramente noi occidentali) afferma nelle sue radici storiche, sociali e religiose la subordinazione della donna rispetto all’uomo. Da qui discendono una serie di ampie conseguenze con cui ci confrontiamo tutti ogni giorno: ogni volta che una donna viene picchiata e rimane, ogni volta che viene chiamata “puttana”, che viene scrutata con sguardo morboso, che viene pagata meno di un uomo a parità di mansioni, che viene licenziata perché madre, che viene valorizzata oppure incolpata se si veste in modo provocante, che viene toccata sessualmente quando non lo ha richiesto, anche solo così, per scherzare.
Il fenomeno della violenza contro la donna può essere dunque letto come la manifestazione esteriore di un modo di pensare e quindi di creare il mondo. La violenza di genere è però un fatto che non può essere descritto solo tramite racconti di cronaca e che non si può liquidare commerciando in dati statistici o pseudo-tali. Va invece analizzato e interpretato con attenzione, liberandosi però da ogni struttura ideologica preconcetta.
Ormai da più parti si invoca un cambiamento, o almeno un impegno di azione o parola che risulti significativo, perché ci si rende conto che stiamo vivendo molto male. Da quando l’anno è iniziato solo in Italia molte donne sono state uccise a opera di uomini (sappiamo che nella maggioranza dei casi sono mariti, compagni o ex). Insieme alla denuncia da una parte della collettività, dalle femministe, dalle associazioni di aiuto, dai gruppi di donne che ormai fioriscono dappertutto, una parte dell’opinione pubblica afferma che tutto questo è sempre accaduto o che in fondo si tratta solo di sensazionalismo giornalistico; qualcuno afferma che la donna è in realtà violenta quanto l’uomo e anche lei lo denigra e lo colpisce (quindi saremmo pari); qualcun altro tristemente afferma che in fondo lei un po’ se le cerca; e infine una parte della popolazione (temo molto ampia) non se ne occupa per niente, e non è nemmeno troppo cosciente del fenomeno. Non bisognerebbe mai dire che “la violenza è violenza”, perché questa affermazione generalizzante può anche essere un modo per evitare di guardare in faccia (e quindi analizzare) un fatto ampiamente confermato dai numeri: il mondo in cui viviamo sta funzionando così, una parte del genere maschile sta esercitando violenza verso il genere femminile in molti modi e forme. Le donne lo dicono da un pezzo, e se ci sono alcuni uomini che ascoltano e operano per un cambiamento, molti altri ancora faticano ad ammettere che tutto questo è vero. Credo sia difficile ammettere che il genere cui si appartiene abbia svolto il ruolo di carnefice in una dinamica secolare basata sulla presunta inferiorità della donna. Naturalmente stiamo parlando in generale, esistono infatti casi in cui ciò non avviene a anche casi in cui è la donna a essere violenta con l’uomo. Il problema è che questa constatazione non dovrebbe servire per distogliere lo sguardo dal fenomeno, ma semmai andrebbe aggiunta ad un’analisi seria della violenza legata al genere.
Il primo passo quindi è guardare tutti ciò che è, chiedendoci come mai sia accaduto e stia accadendo. Solo in un secondo momento, ognuno nel luogo ove si trova, può iniziare a percorrere un cammino di pace, perché di una vera e propria guerra tra generi si tratta.
Il fatto che gli uomini attacchino le donne significa che l’umanità sta attaccando se stessa, perché se ampliamo lo sguardo ci accorgiamo che non si tratta affatto solo di tristi episodi di cronaca a sfondo sessuale, ma invece stiamo tutti guardando in tv un’umanità che, in un delirio di onnipotenza, vuole dominare e distruggere se stessa e il pianeta. Perché odiare il femminile vuol dire odiare la terra. L’umanità sta agendo una rabbia atavica, perché ha creduto di poter dominare e sfruttare la terra, e così i popoli, le donne e i bambini, provocando così solo distruzione, perché in realtà nessuno può possedere ciò che non gli appartiene. Nessun uomo può dominare sull’esistenza. La vita e la natura, gli uomini e le donne, i loro figli appartengono alla vita, non ne diventeranno mai i padroni.
E come porsi di fronte a questi fatti quando si percorre una via iniziatica che tende all’Unione? Può una scuola o una tradizione spirituale porsi al di fuori di ciò che sta accadendo, affermando la propria trascendenza rispetto ai fatti della bassa materia? Non crediamo sia un buon atteggiamento. Invece occuparsene anche da una prospettiva spirituale potrebbe essere una spinta concretamente evolutiva.
Un primo passo sulla via della pace è l’ammissione da parte di tutti che tutto questo, sì, è reale, e anche ci fa male, ci tocca, ci lascia spiazzati. Alcuni uomini iniziano a dichiarare pubblicamente che non va bene, che loro non sono così, rifiutando ogni forma di violenza di genere. La voce di questi uomini è molto importante, perché permette l’inizio di un cambiamento, inaugurando un lungo lavoro di cooperazione tra donne e uomini per creare un nuovo modo di stare insieme, basato stavolta sul presupposto di parità reale, di uguale dignità, in una diversità di manifestazione nel mondo della materia.
Sembra che questo sia scontato. Ma invece non è ancora realtà per molti di noi. Abbiamo visto troppe donne sottovalutarsi e non credere nella propria bellezza femminile, asservire il proprio corpo alle leggi del mercato, aderire a modelli massificanti ed edulcorati di femminile, diventare quasi un prodotto progettato per dare piacere e poco altro, troppe donne arrestare la propria crescita in presenza di un partner che chiede attenzioni tutte per sé, troppe donne adorare uomini come se fossero l’unica fonte di verità e di vita. In realtà molto poco un uomo può insegnare ad una donna sul femminile, perché non ne ha esperienza nella propria carne. Il cammino delle donne è fatto di scoperte che provengono dalle profondità dell’anima femminile, e mai potrà essere percorso a partire da istruzioni che derivano da una cultura a base patriarcale. Allo stesso modo è vero il contrario, perciò nemmeno noi donne dovremmo pretendere di definire, ammaestrare o svalutare il maschile.
Una via spirituale femminile ha caratteristiche proprie. Proviamo a esplorare alcuni passaggi del percorso di crescita umana della donna. E non è escluso che queste considerazioni siano utili anche agli uomini.
Uno dei fatti che più colpiscono quando ne vediamo gli effetti è la sottrazione del valore del corpo che i movimenti femminili hanno sempre messo in rilievo, fenomeno riscontrabile anche in molte forme di spiritualità. Il corpo per la donna è luogo dello Spirito, letteralmente discende in lei (come accade anche tra l’altro nel mitico concepimento di Maria, raccontato dalla religione cattolica), da lì lei attinge la propria vitalità, la propria ispirazione. La capacità di ricevere e generare è quindi caratteristica fondamentale della spiritualità della donna. Una via che non tiene conto dell’importanza del corpo, priva la donna di qualcosa di molto importante.
Parliamo adesso della forza: nel mondo ordinario spesso l’uomo è quasi costretto a dimostrare di possedere una forza illimitata, che non consente debolezza, mentre la donna al contrario è condannata alla fragilità, rimanendo quindi lontana dalla propria autentica forza (in fin dei conti anche quando esprime violenza o dominio). Ma guardando con attenzione, scopriamo che la vera fragilità appartiene a chi ricorre all’aggressività per affermarsi. Allora la donna dovrà entrare in contatto con la propria forza reale e l’uomo con la vulnerabilità, per scoprirsi alla fine più somiglianti di quanto l’educazione che la maggior parte di noi ha ricevuto vorrebbe farci credere.
Durante questo cammino femminile si incontra la rabbia, nella donna solitamente più repressa che nell’uomo, tanto da manifestarsi in molti casi nell’agire del partner che sceglie di avere accanto, generando così la dinamica della violenza. Un lavoro di recupero della rabbia e della violenza inconscia è un altro passaggio per la donna che vuole uscire dalla lotta violenta contro il maschile. Una delle prove più difficili è individuare e affrontare le parti di noi che ci violentano da dentro.
Si sa, la donna è accoglienza, anche in senso strettamente biologico e sessuale, ma questo dono può diventare…

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