Il sé trascende la ragione

Il sé trascende la ragione

Rubrica di Giulia Valerio

Gent.ma Dott.ssa Valerio,
Jung parla del Sé come rappresentazione dell’unità e della totalità della personalità umana, come punto di emanazione della sua creazione, ma anche come includente l’emanazione stessa. Il compito dell’uomo dovrebbe essere giungere all’individuazione, alla comunione con il proprio Sé. Mi chiedo, se il Sé dell’individuo rappresenta la sua parte conscia e quella inconscia, dobbiamo postulare l’esistenza di un Sé collettivo, emanatore di quello che Jung chiamava l’inconscio collettivo? Come si può coniugare l’idea di un Sé individuale con un inconscio collettivo che riguarda la totalità degli esseri umani?

Grazie per questa domanda che apre e contiene in sé spazi infiniti. In ciascuno di noi abita una scintilla divina, una particella di totalità che raccoglie, concentra e ispira: Jung la chiama il Sé, per distinguerlo dall’Io e per ricordarci che veniamo determinati da qualcosa d’Altro, di numinoso e potente, non addomesticabile dalle nostre pretese e dalle nostre aspettative. La relazione con questa parte trascendente varia nel tempo della vita: se nella giovinezza abbiamo il compito di costruire una parte cosciente adatta al mondo in cui viviamo e capace di realizzare parte del proprio destino, a poco a poco, successivamente, l’Io si fa sempre più trasparente divenendo una coppa, il vaso che accoglie il suo nucleo più profondo. Il proprio Sé, come ben scrive nella domanda, è in relazione con il macrocosmo e con il motore ultimo e divino della creazione, che in noi si rispecchia.
Il Sé non è un concetto, potremmo dire, ma un’esperienza che si manifesta nei sogni, nei miti e nelle fiabe come una presenza inaspettata, capace di redimere e salvare. Parla un’altra lingua rispetto all’Io, lo spiazza e lo sorprende, come nello straordinario incontro di Mosè con Al Khadir, figura di un Sé che rappresenta non solo la più elevata saggezza, ma un modo di agire capace di trascendere la ragione umana. È un racconto tratto dal Corano: Mosè vuole seguire il grande sapiente per imparare e apprendere, ma dovrà osservare il silenzio per poter intimamente scendere negli abissi della propria anima e comprendere i misteri di una più ampia forma di coscienza. Al Khadir compirà gesti insensati come affondare una nave, uccidere il figlio di una anziana coppia e riparare senza compenso né gratitudine un muro in rovina. E Mosè, immagine calzante del nostro atteggiamento egoico, non tacerà mai e domanderà ad ogni istante cosa significhino quelle azioni criminose e insensate. Solo alla fine al Khadir, il sapiente detto il Verdeggiante, che si muove appoggiato su un pesce per raggiungere la sua dimora alla confluenza dei mari, rivelerà più ampi orizzonti e una consapevolezza che trascende l’umano.
Se la conoscenza dell’Ombra comporta una umiliazione morale e una sofferenza, scrive von Franz, quella dell’Anima richiede umanità e comprensione. L’ultimo stadio, l’incontro con il Sé, è esperienza religiosa che richiede un sacrificio da parte dell’Io, davanti al quale possiamo solo inginocchiarci.
Altre volte il Sé prende una forma geometrica, come nel disegno del mandala, in cui il cerchio iscritto nel quadrato rappresenta le connessioni intime tra il nostro centro più segreto e i sentieri che lo collegano al mondo e alle sue rappresentazioni. Il rotondo descrive l’esperienza di interezza che il Sé racchiude, sintesi di coscienza e inconscio, totalità psichica e ad un tempo piccolo punto che racchiude la nostra essenza personale. Per questo il Sé prende forme infinitamente piccole, trascurate e insignificanti, quasi invisibili agli occhi, che come l’atomo racchiudono il disegno dell’universo e la massima concentrazione di energia.
Ricordo di aver ascoltato a Messina una formazione tenuta da un mediatore tunisino, sposo di una grande amica. Raccontava come la sua bambina di due anni talvolta sedesse per terra e giocasse con i pulviscoli della polvere e della luce, con cose così piccole che lui, il padre, doveva chinarsi per riuscire a indovinare cosa fossero. La conclusione fu uno squarcio: “E in quei momenti la mia bambina diventa la mia maestra”.

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