Economia religione delirante

L’economia, una religione delirante

di Linda Parrinello

Quanto denaro ci serve per vivere? Quanto potere, per esorcizzare le nostre paure? Riusciamo a sentire il senso profondo della vita? Costruire un’intima identità è un processo difficilissimo e in controtendenza con la pressione politica e sociale.

«Conferendis pecuniis ergo sollicitae tu causa, pecunia, vitae! Per te immaturum mortis adimus iter; tu vitiis hominum crudelia pabula praebes, semina curarum de capite orta tuo» (Per ammassare ricchezze, sei tu, denaro, la causa di una vita agitata! A causa tua prendiamo prima del tempo la strada della morte; ai vizi degli uomini fornisci dei crudeli pascoli, dalla tua testa germogliano i semi degli affanni). Con questi versi del poeta latino Properzio, si chiude Delenda Carthago di Franco Battiato. Il titolo del brano riprende un’esortazione (divenuta nel tempo proverbiale) del senatore romano Marco Porcio Catone, con cui chiosava i suoi interventi in assemblea per esortare i concittadini affinché ogni minaccia da parte della vicina Cartagine venisse preventivamente soffocata nel sangue; come in effetti avvenne intorno al 146 avanti Cristo, quando la leggenda narra che la città fu rasa al suolo e sulle sue fondamenta venne sparso sale, affinché non attecchisse mai più alcun segno di vita.
Battiato narra le gesta di legioni che vanno per terre sconosciute a fondare colonie a immagine di Roma; tra invasori che si cullano nei piaceri, ammassando potere e denaro, e genti che subiscono la loro dominazione trasformandosi in turbe che in circhi e stadi assistono fameliche a riti di sangue. Di fatto si tratta di un testo cadenzato, quasi meditativo, tant’è che dopo il terzo ascolto non si può fare a meno di chiedersi: che volto e sapore ha la Roma che pervade oggi le nostre vite?

ROMA TRA NOI

Partiamo da un dato, il cui andamento è stato confermato negli anni; ed è che, secondo un rapporto Oxfam, nei primi 21 mesi della pandemia i 10 uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato, in termini reali, i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15 mila dollari al secondo: 1,3 miliardi di dollari al giorno. A oggi questi 10 super-ricchi possiedono un patrimonio 6 volte maggiore dei 3,1 miliardi di persone più povere del mondo, ossia il 40% della popolazione mondiale.
Non bisogna scomodare Marx ed Engels con la loro condanna al sistema capitalistico per affermare che, nel meccanismo dell’economia globale, qualcosa non torna: alcuni ingranaggi sembrano funzionare vorticosamente per alcuni, mentre per altri rimangono inceppati tra le ragnatele. Come si produce un fenomeno così abnorme? Se i giochi finanziari che conducono a simili scenari sono intuibili e manifesti (l’esplosione della schizofrenia provocata dalla digital economy è sotto gli occhi di tutti), almeno nella loro versione superficiale, i meccanismi psicologici e culturali tendono a rimanere sottotraccia. I tentativi di decodifica si sprecano e – spesso – si arenano, nello sforzo di applicare all’attualità codici ormai superati o, quanto meno, ormai inadatti.
Il poeta e filosofo Marco Guzzi – in una conferenza rinvenibile anche online – ha fornito una sua particolare chiave di lettura, partendo dal concetto di “polarizzazione delle coscienze”, malattia assoluta della nostra epoca. Come presupposto descrive, infatti, un mondo in cui l’economia ha assunto il ruolo di teologia, dove la categoria dell’utile sopravanza quella del vero, del bello e del bene: tutto ha un prezzo, anche il corpo e la mente dell’uomo. Dove i diritti individuali hanno la meglio su quelli collettivi. Dove nessuno si occupa delle cose ultime, ovvero di cercare il senso di ciò che facciamo, che è un’esigenza primaria dell’uomo a cui la dimensione spirituale attiene ancor prima di quella morale.
Solo che nel momento in cui queste naturali esigenze non vengono soddisfatte, si producono due reazioni opposte: il nichilismo e il nazionalismo.
E infatti Guzzi spiega: «Si tratta di un nichilismo materialistico, che porta alla mercificazione universale, un nichilismo dataistico che riduce l’essere umano a “big data”, in informazioni a loro volta acquistabili e vendibili, e globalistico, cioè con un’idea di uomo senza identità. Un’idea che la libertà dell’uomo consista nel distruggere le differenze, le identità, le culture perché questo è il modo migliore per asservire l’uomo: togli all’uomo la forza della famiglia, della nazione, della propria storia, della propria religione, e cosa resta? Un pollo d’allevamento… Quello della polarizzazione», sentenzia il poeta, «è un progetto preciso».
Da una parte c’è, pertanto, l’essere umano ridotto al nulla, al vuoto dei valori, dall’altra – e proprio come reazione – matura un approccio estremista e fondamentalista, come opposizione all’annientamento dell’identità spirituale e culturale imposto dall’alto, dove la finzione del “reality show” prende il posto della realtà. Così che da vittime ci si trasforma in spietati carnefici.
Tuttavia – assicura – esiste una Terza Via, una via d’uscita capace di smascherare queste opposte tendenze che costituiscono le due facce della stessa medaglia.
Guzzi rintraccia questa Terza Via nell’identità delle persone, in un’identità che sia riconosciuta e apprezzata, mentre nel nichilismo viene negata, e in una identità in divenire, mentre nel fondamentalismo è considerata statica: un’identità, quindi, come processo e non più come possesso. Un processo in continuo movimento perché frutto e figlio delle nostre aperture relazionali verso gli altri e il mondo; così come avviene per il neonato che sviluppa il suo io già quand’è nel grembo della madre, proseguendo tale crescita attraverso le relazioni. Dobbiamo sentirci “visti” da noi stessi e dagli altri, per poter a nostra volta “vedere” le altre persone.

PROCESSO ALL’IMPERO (DELL’IO)

Tutto questo suggerisce che non può esserci evoluzione senza relazione; e che l’essenza di tale messaggio è rinvenibile nel messaggio cristiano. Affondando infatti ancora di più la sua analisi, il filosofo spiega come questa Terza Via si sostanzi proprio nel messaggio evangelico: «L’autocoscienza dell’io si sviluppa relazionalmente e cresce relazionalmente, sempre questo paradigma è essenzialmente Cristico per me perché questa è esattamente l’identità che il Cristo è venuto a rivelare come dato di cultura anche per chi non crede. Perché il Cristo ci dice che l’io lo devi diventare, tu non sei ancora te stesso, lo sei già ma non ancora, quindi c’è un processo che devi affrontare, un processo faticoso che è relazione».
Una relazione con l’interiorità e la storia, nostra e di chi ci sta accanto (il cosiddetto prossimo). Guzzi propone un’idea di nazione come realtà di natura al pari della famiglia, più comunità che società, dove non si diventa più italiano in opposizione a chi e a come sia un tedesco o un francese, bensì perché proprio interagendo con un tedesco o un francese si comprende meglio in cosa consista la propria italianità. Perché proprio relazionandosi con l’altro, diverso da noi, vediamo meglio i contorni di chi e cosa siamo.
Quando si parla di Paesi e di nazioni, costruire una identità relazionale che abbia potenza storico- politica si profila, quindi, come un immane compito rivoluzionario della politica; una parola – Rivoluzione – che andrebbe purificata di ogni violenza e demonizzazione dell’altro, al quale si attribuiscono etichette a priori.
Il filosofo, non a caso, continua: «che ognuno venga chiamato col nome che lui si dà, questa è non-violenza. La non-violenza è un cambiamento della mente, anche questo è un processo. Noi siamo violenti istintivamente, una parte di noi è violenta, ha bisogno di avere un nemico. Dobbiamo capire che la rivoluzione politica che auspichiamo, richiede una nuova educazione umana, una nuova pedagogia, spirituale per quanto laica, ma soprattutto spirituale affinché lavori sulla mente. Essere un io relazionale non è un processo naturale: se lo facciamo sul serio, è un lavoro immane».
La Rivoluzione presuppone quindi uno spirito di concretezza, esercitato con pazienta e prudenza; uno spirito che vada alla ricerca di ciò che ci unisce anziché di ciò che ci divide: «La polarizzazione è una iattura, una semplificazione che nasce sull’io bellico, la dimensione più immediata, perché la più banale e istintiva, che ti porta a reazioni aggressive e difensive, ma – oltre questo – invece c’è molto altro». Ed è appunto questo Altro che siamo chiamati a cercare…

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