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L’Europa unita

di Giovanni Maria quinti

Nazionalismo e patriottismo sono termini che riecheggiano dal passato, da epoche nelle quali l’Europa viveva sanguinosi conflitti. Forse, così come millenni fa ci siamo aggregati in tribù, anche il nazionalismo è una fase di passaggio per la crescita dell’essere umano. Siamo maturi per abbattere muri e i confini? Siamo veramente aperti alla diversità, o ne abbiamo paura?

Aquisgrana, 21 gennaio 2019: un grande evento fra Francia e Germania. La Merkel e Macron sottoscrivono un importante accordo bilaterale: il Trattato di Aquisgrana. Al termine della firma, la cancelliera tedesca si alza e – davanti a una sala attenta e silenziosa -, pronuncia parole che, più o meno, tuonano così: «Dopo un passato di guerre sanguinarie fra i due paesi, la relazione attuale è qualcosa che non si può dare per scontata, in quanto è il frutto di un durissimo lavoro iniziato subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo nuovo trattato di cooperazione fra Francia e Germania risponde alla necessità dei tempi attuali, segnati dalla minaccia dei populismi e dei nazionalismi». Subito dopo il presidente francese afferma: «In questo mondo, Francia e Germania devono assumere la responsabilità di mostrare il cammino, di come le nazioni adulte vivono in pace». I giornali passano in sordina la notizia, solo gli italiani più attenti e informati vengono a conoscenza del fatto.

Europa, 27 gennaio 2019: trenta intellettuali europei (fra cui i nostri Eugenio Scalfari e Roberto Saviano) sottoscrivono un documento intitolato L’Europa in fiamme, nel quale esortano a: «Riprendere la fiaccola di un’Europa che, nonostante i suoi errori e a volte la sua codardia, continua a rappresentare una seconda patria per tutte le persone libere del mondo». Il documento termina con un motto che sembra una minaccia: «Quando rinascono i populismi, dobbiamo desiderare più Europa o naufragheremo».

Anche questo documento viene ignorato dai più.

Perché i mezzi di comunicazione minimizzano alcune notizie e ne risaltano altre? Ci verrebbe da sospettare che i motivi siano legati a interessi di varia natura: economici, politici, ecc. Forse, però, non fa notizia quello che viene ritenuto scontato, una minaccia che non si considera possibile. Molti di noi sono nati dopo la Seconda Guerra Mondiale, abbiamo camminato su strade che, per noi, sono sempre state anche strade europee. L’Europa viene considerata un’istituzione salda, impossibile da cancellare, come qualcosa di naturale, come se la storia del nostro continente non fosse costellata da una successione interminabile di guerre, tensioni e sangue versato. Se il lettore volesse verificarlo, gli basterebbe guardare un video su Youtube dal titolo The History of Europe: Every Year, il quale mostra come, dal 400 A.C. fino al 2017, gli imperi siano nati e morti, mentre i conflitti dilagavano in tutto il continente. L’Europa non ha mai conosciuto una fase di pace così lunga e stabile come quella costituita dal progetto europeo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Abbiamo completamente dimenticato che le ragioni di questo progetto stavano proprio nell’evitare il sorgere di nuovi conflitti fra territori perennemente in guerra. I nostri nonni, che hanno vissuto la guerra sulla loro pelle, e per i quali le bombe non costituiscono – come per noi –, solo una remota possibilità, vedevano nell’Europa la speranza di una nuova ragione di pace.
Cos’è, invece, l’Europa per noi oggi? Per il popolo italiano un peso e per i suoi politici un’ottima scusa. Spieghiamoci meglio.
La sensazione comune è che l’Europa sia diventata un’istituzione economica e bancaria, abusiva e coercitiva, aggravata anche dalla pessima e mal gestita introduzione della moneta unica. Tutto questo ha creato e alimentato il focolaio del risentimento. I nazionalismi sono tornati di moda. E dobbiamo dire che hanno la strada piuttosto spianata. La colpa di tutto questo ricade su una classe politica assai poco lungimirante e sostanzialmente gretta: troppo facile scaricare su Bruxelles la responsabilità di qualsiasi decisione difficile da prendere. Se arrivava una crisi, se erano necessari tagli alla spesa pubblica, quale migliore scusa se non colpevolizzare l’Europa “implacabile” e troppo “rigida”? In Italia, dopo decenni di governi che non hanno fatto nulla per il bene e il futuro della nazione, che ignoravano completamente il debito pubblico (impegnati com’erano a organizzare festini e bunga bunga), l’obiettivo della comunicazione politica è stato il far ricadere sempre e comunque sull’Europa la responsabilità di ogni nostro male. Il progetto nobile di un’Europa capace di generare pace fra le nazioni si è trasformato in un paravento, dietro il quale mal si nascondono le perversioni di politiche locali personalistiche e miopi, quando non corrotte. L’idiozia politica, in questo modo, ha preparato la strada alla distruzione del progetto Europeo e alla nascita di nuovi nazionalismi travestiti di patriottismo. Il nazionalista, infatti, spesso non si riconosce come tale, ma si impadronisce del naturale sentimento di amore e gratitudine verso la propria patria, la propria lingua e storia, per manipolarli con l’obiettivo di esercitare un ricatto morale verso chi non vive le sue stesse preoccupazioni.
Però il nazionalista non è un vero patriota, bensì un feticista della Nazione, la quale – a suo dire -, deve essere completamente sovrana e non cedere nessun potere a qualche istanza sovranazionale, nonostante questa possa portare ricadute positive per il proprio Paese. Non importa se, alla lunga, potrebbero tornare i muri e i conflitti, le bombe o gli odi razziali. Per i nazionalisti l’Italia dovrebbe tornare a essere la regina incoronata del mondo, capace di difendere i propri confini.
Il nazionalista camuffato si riconosce facilmente da alcuni indizi: per la sua inclinazione a ispirare risentimenti fra Paesi vicini; per l’aspirazione a creare nuove e più forti frontiere (muri altissimi e invalicabili); per il suo insistere sulla bilateralità nelle relazioni internazionali; per la tendenza a diffondere un’immagine vittimistica della propria nazione (abusata da poteri biechi e sovranazionali); ma anche per la sua propensione a criminalizzare gli stranieri. I nazionalismi sono una grave malattia che, se non curata in tempo, potrebbe mettere definitivamente a rischio il progetto di pace e concordia che l’Europa ha costruito dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le elezioni del maggio 2019 hanno dimostrato che questa malattia è al momento sotto controllo, ma anche che il paziente non è ancora fuori pericolo. Per questo, è importante iniziare ad agire concretamente. Forse, con il fine di fornire qualche spunto, potremmo lasciarci andare a un sogno, esattamente come fanno i bambini quando si lasciano ispirare dalla propria immaginazione a occhi aperti…

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